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Un nuovo senso alla Liberazione. Alcune delle cose che dovremmo imparare da questo virus

Il coronavirus ci fornisce un’irripetibile occasione di ripensamento di tanti meccanismi fallimentari del nostro tempo, in ragione dei quali questa festa della Liberazione può e deve avere un rinnovato senso. Sarebbe imperdonabile pensare a questo periodo come eccezionale e transitorio e sarebbe assai conveniente e semplicistico pensare al virus come alla causa della crisi, quando in realtà è una sua conseguenza. Qualcuno sostiene che le persone più sensibili troveranno in questa situazione ulteriori elementi per aumentare le proprie consapevolezze, altri invece resteranno sulle proprie convinzioni senza trarne alcun giovamento ed è così: le consuete spinte capitalistiche stanno già esercitando tutta la loro pressione nel senso del “ritorno alla normalità”. Ma la vecchia normalità non era giusta e ne stiamo pagando il conto, per cui occorre cambiare, non ripristinare.

Per far questo serve una nuova forma di resistenza capace di poggiare le sue basi su una profonda riflessione critica che il tempo del coronavirus impone, tema per tema.

Cambiare il modello di sviluppo

L’uomo non si sente parte della terra e della natura in quanto essere calato in essa, ma ha l’arroganza di sentirsene superiore. La sfrutta e la stressa per i suoi interessi a danno dell’ecosistema e di se stesso. E’ ormai accertato come questa pandemia sia figlia della commistione prepotente fra habitat naturali diversi, con l’uomo che invade sempre di più gli spazi di vita di altri esseri viventi. Lo fa speculando, deforestando e partorendo inimmaginabili e intollerabili forme di sfruttamento degli allevamenti che costringono gli animali a una promiscuità indegna di qualsiasi vita. Gli allevamenti sottoposti a questi regimi diventano così facile veicolo di sempre più frequenti contaminazioni con gli animali che, al di fuori di essi, sono alla disperata ricerca del loro ambiente perduto. Dovremmo cominciare tutte e tutti a mettere in discussione questo modello economico, a cominciare da una drastica riduzione del consumo di carne. Occorre proprio rivedere il sistema di sviluppo capitalistico alla radice, perché non sviluppa altro che una catena drammatica di conseguenze e di ingiustizie al solo fine di conservare se stesso ed i suoi privilegi. Giustizia sociale e giustizia climatica sono strettamente collegati e la riflessione va alimentata prima che il capitalismo si risieda prepotente sul suo trono insanguinato.

La Sanità

I servizi principali per le persone devono tornare unicamente in capo allo Stato. Non può esserci una sanità diversa e un messaggio diverso per ogni regione e non può esserci una sanità-azienda che punta agli aspetti di business. Dalla sanità passa la salute di tutte e tutti noi, per cui non ci sono pareggi di bilancio che tengano. Va investito ciò che serve, sottraendola alle lottizzazioni politiche ed estirpando il sistema corruttivo che vi gravita intorno. E’ una necessità non più rinviabile.

I tagli a sanità, istruzione e ricerca

Quest’esperienza ci insegna nondimeno che sanità, istruzione e ricerca non possono più essere oggetto di tagli per far ‘quadrare i conti’. Il sapere e la cura devono assolutamente costituire la struttura portante di un Paese che si rispetti, senza negoziazioni. Oggi non ci si aspettano soluzioni dagli incompetenti piazzati nei posti chiave dalla politica, ma da medici scrupolosi, studiosi e scienziati preparati. Il diritto allo studio è la base della conoscenza e dello sviluppo completo delle persone. La ricerca va finanziata ed alimentata come strumento prezioso per il Paese, che deve saper trattenere qui le sue eccellenze.

Il welfare

Il reddito agli indigenti non può essere un’eccezione. Lo hanno già definito “reddito d’emergenza” per mettere le cose in chiaro dal loro punto di vista, ma un sano welfare non è da considerare come uno strumento di passaggio, piuttosto come un diritto alla dignità. In quest’ottica occorre un serio approccio al reddito universale che non è affatto quello di cittadinanza che i 5stelle hanno scippato al dibattito per impastarlo nel loro populismo spicciolo. Il reddito universale è un diritto alla vita dignitosa, un’assicurazione contro lo sfruttamento e contro la povertà. Una cosa seria che potrebbe ad esempio essere finanziata con una patrimoniale sui super redditi, o una progressione Irpef con un paio di scaglioni in più verso l’alto. Altro che flat tax, c’è bisogno proprio del suo contrario. D’altra parte l’economia è una sola e se c’è troppo da una parte, è inevitabile che ci sia poco dall’altra e dove c’è troppo non ci sono solo meriti imprenditoriali, come piace pensare al mondo conservatore, ma spesso ingiustizie e sfruttamento: chi guadagna sul lavoro dei propri dipendenti, può percepire di più, ma non troppo di più. Altro opportuno metodo di finanziamento di questa misura dovrebbe derivare da chi guadagna montagne di soldi sulle nostre vite, i nostri dati e i nostri interessi – non più definibili oggi come privati. E’ anche da qui che va ricercata una doverosa restituzione.

Fa riflettere che ci affanniamo tutti, quando va bene, per acquistare una casa, con sacrifici di una vita, per lasciare qualcosa ai nostri figli, quando in un mondo giusto casa e reddito di dignità dovrebbero essere garantiti a ciascuno. Il tema è complesso, ma il momento di avviare a riguardo un serio e concreto dibattito è esattamente questo. Valutando tutto e cercando soluzioni a possibili distorsioni come l’inflazione, da non sottovalutare per evitare il rischio di un riassorbimento delle misure da adottare.

Le tutele sul lavoro

Le tutele scattate a seguito della crisi hanno potuto ricomprendere solo i lavoratori regolari, gli altri per lo Stato non esistono. Ora come mai occorre porre in essere metodi efficaci per l’emersione ed il contrasto al lavoro nero.

Cittadinanza e immigrazione

Che piaccia o no, il nostro sistema produttivo si regge anche sugli immigrati. Non possono più restare visibili quando sbarcano e invisibili quando ci raccolgono cibo dai campi. Devono uscire dal limbo dei centri di accoglienza emergenziali ed essere accolti con metodi di integrazione diffusa. Il rifiuto e l’espulsione, spesso superficiali e indiscriminati, generano lavoro sommerso e rinforzano le maglie della criminalità. Lo sanno anche quei politici che si ergono a paladini di confini e italianità a cui, probabilmente, non dispiace neppure fare da sponda a questi sistemi che, loro sì, sono il cancro del nostro Paese. Tutto ciò senza considerare che l’uomo si sposta da sempre e che le immigrazioni massicce di questi decenni sono dovuti alle politiche di sopraffazione politica, militare ed economica dell’occidente.

Linguaggio di guerra

Le situazioni più provanti trovano troppo spesso sbocco in un linguaggio di guerra che non può e non deve essere sdoganato. Parole come trincea, fronte, guerrieri e soldati sono pericolose e alimentano l’idea di una forza machista e violenta come unica soluzione ai mali peggiori. La guerra è altra cosa, ancor più funesta e devastante. Il linguaggio in uso sconcerta e incute rabbia e timore, piuttosto che consapevolezza e responsabilità. Le parole giuste sono cura, rispetto, guarigione e fragilità. Dentro agli ospedali, come sugli scranni parlamentari e nelle redazioni dei giornali grondanti di richiami a “misure da economia di guerra”.

La democrazia

Siamo tutti consapevoli che ci fosse bisogno di misure straordinarie per contrastare il contagio e per fare in modo che le strutture sanitarie riuscissero ad assistere quanti ne avessero bisogno. Ciò detto una riflessione sulla legittimità degli strumenti adoperati va fatta. Per quanto ancora a troppi italiani piaccia l’uomo forte al comando con delega deresponsabilizzante e auto-assolutoria del popolo, la democrazia per fortuna è altra cosa e, per quanto apparentemente meno efficace, garantisce i diritti e le libertà di ciascuno. Potrebbe perfino essere qualcosa di migliore, se si dotasse di strumenti partecipativi incisivi colmando le enormi falle fra rappresentanza e rappresentati, ma questo è un altro discorso. Vista l’irresponsabilità di certa minoranza, intenta solo a seminare di mine il terreno del Governo per le sue smodate ansie di potere, si potrebbe dire che, anche sotto questo aspetto, sia stato meglio saltare i passaggi parlamentari. Ma la situazione non va legata agli attori del momento ed occorre fare molta attenzione alla creazione di precedenti che potrebbero erodere lo stato di diritto. Ciò che è accaduto nel nostro Paese è che tutto ciò che è stato deciso sulle nostre libertà personali e sulla privacy – diritti fondamentali secondo la nostra Costituzione – abbiano seguito la via del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (i famosi DPCM), che sono provvedimenti di tipo amministrativo e dunque di rango inferiore alla Costituzione e alle leggi ordinarie. A ciò va aggiunto che i DPCM hanno natura definitiva, e non temporanea, e non sono soggetti alla sindacabilità del Parlamento e del Presidente della Repubblica, cui invece spetta l’ultimo parere nel caso dei decreti del Governo. E’ vero che il decreto legge di fine gennaio ha delegato al Premier la scelta delle azioni da intraprendere, ma avrebbe dovuto fornire direttive meno generiche, giustificandole con criteri di necessità e precauzionalità e non semplicemente di adeguatezza e proporzionalità. In ambito di privacy anche il GDPR di emanazione comunitaria prevede che l’ultima parola spetti al Parlamento.

Come fronteggiare allora una situazione del genere? È importante sapere che nella Costituzione italiana è previsto lo “stato di guerra” (art. 78), ma non quello di emergenza, che è invece regolato con  legge ordinaria dal codice della Protezione civile. Fra l’altro quest’ultimo contempla casi di calamità, ma non rischi sanitari come quello in corso e men che meno ha il potere di limitare le libertà personali (art. 2 Cost.) che possono essere disposte solo dall’autorità giudiziaria. Ne deriva che né la Costituzione e né la legge ordinaria prevedano casi come quello che stiamo vivendo, per cui sarebbe il caso, a emergenza conclusa, che venga prevista la legittimazione costituzionale dello stato d’emergenza, con la previsione di misure necessarie, adeguate e limitate nel tempo, senza scavalcamenti del Parlamento e dei diritti fondamentali. Ciò allo scopo di rendere sempre certe le garanzie ed i doveri di tutte e tutti e scongiurare qualsiasi deriva anti-democratica.

L’Europa

Cominciamo col dire che l’Europa va a due velocità non perché sia matrigna, ma per un allineamento fra Paesi reso lungo e amaro a causa dell’enorme debito italiano, eredità dell’economia creativa degli anni ’80. Il cosiddetto patto di stabilità ci strozza di un nodo stretto dall’Italia stessa. Anche l’inaffidabilità di cui veniamo tacciati nelle istituzioni continentali è lo specchio dei nostri rappresentanti. Ma è vero, però, che non ci sarà mai Europa senza una solidarietà fra stati. Le posizioni conservatrici di privilegi e confini hanno partorito compromessi nei quali risiede tutta la debolezza di questa unione. Che è economica, ma non politica e men che meno fiscale. Dovrà essere rivista radicalmente, o avrà vita assai breve.

Conciliazione vita-lavoro

Il coronavirus ci dice che tanti lavori possono essere svolti da casa, , o altri luoghi, quanto meno parzialmente, rendendo più conciliabili le esigenze lavorative con quelle di vita di ciascuno. Hanno tutti da guadagnarci.

La violenza sulle donne

Stare chiusi dentro casa ci ha fatto riflettere ancora di più alle tante persone che nella propria casa non vedono ragioni di serenità e sicurezza. In primis le donne ed i bambini vittime di violenze ed abusi ancora troppo tollerati nella logica patriarcale della nostra cultura.

Gli autentici sentimenti umani

Questa pandemia si è fatta strada sui sentimenti a cui ci hanno più abituato: la paura ed il rifiuto dell’altro. Stati che non appartengono alla natura recondita dell’essere umano, tant’è che con l’effetto di normalizzazione che questo periodo ha avuto dopo le prime settimane, la paura per sé è diventata anche rispetto dell’altro. “Ti evito per proteggerti”, oltre che “per proteggermi”. La solidarietà ha cancellato la sopraffazione e si è tornati a rivolgere il nostro sguardo e la nostra azione agli ultimi. Ci siamo sentiti comunità spazzando via l’individualismo imperante. Ecco, nelle difficoltà è uscito ciò che ci è più proprio, il sentire comune e la natura sociale e solidaristica dell’essere umano. Aspetti su cui intessere la ripartenza.

La questione Taranto

L’Italia si è accorta che il diritto alla salute viene prima di ogni altro, ma ciò a Taranto non si è mai posto in questi termini. Addirittura il Governo, in ragione di questo principio, sembra aver forzato la mano alla Costituzione, dal momento che la limitazione alle libertà personali previste dall’art. 32, oggi sono state compresse in ragione di motivi di salute che nella Carta costituzionale sono garantiti all’art. 13. Tuttavia Taranto ha fatto eccezione anche questa volta, con un DPCM che ha delegato ai Prefetti la decisione su quali attività tenere aperte. Date le circostanze che hanno portato a tale decisione, non è difficile immaginare che in questa fase di altissima popolarità,Conte abbia evitato gatte da pelare sul fronte delle critiche, riportando al livello locale la decisione che, come sempre, ha privilegiato la produzione siderurgica. Il momento però è propizio per continuare a erodere il sistema che tiene in piedi Mittal e per spingere sulla chiusura della fabbrica e la riconversione decisa del territorio. Si è ampiamente dimostrato come, per quanto operazione complessa, sia assolutamente fattibile e addirittura meno onerosa del salvataggio perpetrato contro ogni logica sanitaria, ambientale, economica e occupazionale. Il risanamento di tutti i territori inquinati potrebbe far ripartire l’economia dell’intero Paese.

Tutto questo deve alimentare la nuova resistenza, fino a condurre ad una nuova Liberazione.

Massimo Ruggieri

attivista Giustizia per Taranto

Nota a margine: in questo periodo ho trovato utili tante sollecitazioni alla riflessione in letture che riporto a seguire per farne patrimonio comune:

https://ilmanifesto.it/covid-19-non-torniamo-alla-normalita-la-normalita-e-il-problema/

https://www.azionenonviolenta.it/lingue-di-guerra/

http://www.questionegiustizia.it/articolo/emergenza-sanitaria-dubbi-di-costituzionalita-di-un-giudice-e-di-un-avvocato_14-04-2020.php

Nè utili, nè indispensabili
Per chi suona la campana?