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Il TAR Lecce ordina la chiusura dell’area a caldo, ArcelorMittal annuncia ricorso al Consiglio di Stato

La prima sezione del TAR di Lecce ha respinto i ricorsi di ArcelorMittal e Ilva in AS (lo Stato) rispetto all’ordinanza contingibile e urgente n. 15 del 27 febbraio 2020 del sindaco di Taranto Melucci. Ha pertanto confermato quanto previsto dalla stessa, ovvero di disporre la chiusura degli impianti dell’area a caldo del siderurgico entro 60 giorni da oggi (cioè entro il 13 aprile). Il TAR ha anche escluso dal ricorso il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Taranto per difetto di legittimità passiva, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. E’ la prima volta che il TAR dà torto alla fabbrica!
Nella sentenza viene finalmente smontato il concetto di bilanciamento fra salute e interessi economici che Taranto si porta dietro sin dalla celebre e nefasta pronuncia della Corte Costituzionale n. 85 del 2013. Si riconosce, infatti, che c’è stato uno sbilanciamento totale in favore dei secondi. Non solo, perché viene rivista l’impostazione giuridica di un precedente pronunciamento, sempre del TAR Lecce, in cui si sosteneva che il rispetto dei limiti emissivi, escludeva in automatico problemi sanitari. Le parole usate nel dispositivo sono forti ed inequivocabili:

“anche il rispetto dei limiti emissivi previsti dalla legge non comporta la certa e conseguente tutela sanitaria della popolazione.”

“con riferimento al quadro sanitario ed epidemiologico, ricorre nel provvedimento impugnato alcuna violazione del principio di proporzionalità, che in concreto risulta viceversa violato in danno della salute e del diritto alla vita dei cittadini di Taranto, che hanno pagato in termini di salute e di vite umane un contributo che va di certo ben oltre quei “ragionevoli limiti”, il cui rispetto solo può consentire, secondo la nostra costituzione, la prosecuzione di siffatta attività industriale”.

Per il TAR di Lecce il pericolo per i tarantini va al di là della singole giornate in cui vi sono emissioni straordinarie: il pericolo è presente e costante:

“deve pertanto ritenersi pienamente sussistente la situazione di grave pericolo per la salute dei cittadini, connessa dal probabile rischio di ripetizione di fenomeni emissivi in qualche modo fuori controllo e sempre più frequenti, forse anche in ragione della vetustà degli impianti tecnologici di produzione”.

Determinante il ricorso, per la prima volta, al principio di precauzione che, pur se imposto dalle norme europee, non aveva mai trovato spazio in Italia. E’ proprio attorno a questo principio giuridico che avevamo raccomandato l’Amministrazione locale di incardinare il provvedimento durante un incontro a palazzo di città lo scorso anno con le associazioni. Prima ancora, ad aprile 2019, consegnammo alla stessa Amministrazione il documento redatto dal gruppo di esperti che risposero alla nostra “call to action“, con cui suggerivamo le evidenze che rendevano praticabile la strada dell’ordinanza sindacale.

Dal canto suo ArcelorMittal non ha perso tempo ad annunciare ricorso presso il Consiglio di Stato, peraltro facilmente prevedibile. Ma anche qui la questione non è così semplice poiché, come fa notare l’avv. Rizzo Striano, occorrerebbe sapere se la giurisdizione del Consiglio di stato nelle controversie in cui sia parte il Governo , direttamente o a mezzo di sue società controllate, sia conforme alla Costituzione Europea oppure la violi. Dovrebbe essere lo stesso Consiglio di Stato a sollevare la questione, altrimenti la sua decisione potrebbe essere impugnata alle sezioni unite della Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale.

In ogni caso, per quanto questa sentenza del TAR sia di grande importanza per Taranto, non potrà, evidentemente, essere considerata l’atto finale dei nostri drammi. Segue però quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, cui pure questa fa riferimento, e precede la fine del più grande processo ambientale della storia d’Italia, prossimo alla sua conclusione. Inizia ad essere certificato, a tutti i livelli giuridici, un inquinamento che riguarda il passato, come il presente ed inizia pertanto ad erodersi seriamente il potere della fabbrica ed i piani di Governo e ArcelorMittal. E’ bene ricordare che l’acquisto dei franco-indiani è infatti legato al dissequestro degli impianti sequestrati, cosa assolutamente non scontata. D’altro canto gli interessi finanziari ed economici che gravitano attorno alla questione ex Ilva sono enormi e c’è da aspettarsi che neppure un’eventuale conferma della sentenza del TAR da parte del Consiglio di Stato li arresterà. A quel punto la politica potrebbe intervenire con un ulteriore provvedimento legislativo straordinario, ma sarà sempre più complicato tenere in piedi tutti i pezzi della fabbrica e lì sarà soprattutto il territorio a dover fare la sua parte opponendosi con grande forza.

La battaglia è ancora lunga, ma certo oggi si è inferto un altro durissimo colpo all’arroganza della fabbrica e di chi la sostiene così irresponsabilmente contro ogni evidenza, sanitaria e giuridica. E’ il momento di crederci.

Le valutazioni dei nostri attivisti Luca Contrario e Leonardo La Porta in questa intervista di Cannale Sud 85