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Ex Ilva: le istituzioni considerino anche l’ipotesi di chiusura

Le società pubbliche Leonardo e Saipem hanno raggiunto un accordo con Danieli per progetti di riconversione sostenibile di impianti siderurgici.

Su questo si sta ragionando per gli impianti ex Ilva di Taranto e l’idea piace, oltre che al Governo, anche al presidente della Regione Puglia Emiliano ed al sindaco di Taranto Melucci che la vedono come base per l’eventuale accordo di programma per Taranto.

Ciò, beninteso, non toglie nulla al procedimento giudiziario del TAR che prevede la chiusura dell’area a caldo e che farà il suo corso al Consiglio di Stato, ma pone il delicato problema su come affrontare il futuro prossimo di Taranto.

A riguardo saremo chiarissimi: intanto vengano chiusi gli impianti, come da sacrosanto pronunciamento del Tribunale Amministrativo e, dal momento che con questi piani si prevede di spendere ulteriori 6 miliardi di fondi pubblici, vogliamo che al tavolo che gli enti locali stanno chiedendo al Governo possa, sedersi anche la cospicua parte di città che chiede la chiusura definitiva del siderurgico. Vogliamo poter dimostrare che le ingentissime somme che si intendono sperperare ancora per salvare la fabbrica (e con essa le banche che vi hanno investito) possono essere spese per riconvertire il territorio e le maestranze sul modello della Ruhr.

Se davvero si vuol rappresentare il territorio, queste istanze devono trovare spazio all’interno del confronto sul futuro di Taranto, che pare schiacciato sull’assunto intoccabile della continuità produttiva. Un presupposto che va smantellato, aprendo un dibattito serio e partecipato che non escluda alcuna possibilità.

I costi diretti e indiretti dell’ex Ilva sfiorano ormai i 25 miliardi di euro, mentre ne sarebbero bastati meno della metà per liberare la comunità dal peso dei suoi drammi.

Abbiamo motivi sociali, sanitari, ambientali ed economici per confutare la tesi della continuità produttiva del siderurgico e rivendichiamo la possibilità di farlo.