Ambiente

Altro che “ambientalizzazione”, per l’ex-Ilva il futuro è sempre a carbone

Qualche giorno fa scrivevamo dell’incontro al Fusco col vicepresidente della Commissione Europea Timmermans, al quale avremmo voluto chiedere conto delle contraddizioni fra quanto da lui prospettato riguardo all’ex-Ilva e quanto, invece, intende fare il Governo.

Questa riflessione è tanto più pertinente se si pensa alla richiesta autorizzativa presentata da Acciaierie d’Italia, e analizzata dal gruppo tecnico coordinato dal prof. Marescotti, che non riporta alcun riferimento alla decarbonizzazione, o all’idrogeno. Anzi.

Lo è anche rispetto ai due piani stilati dall’Italia per il graduale abbandono dei combustibili fossili. Si tratta del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) 2021-2030 ed il Piano per la Transizione Ecologica redatto a febbraio del 2022. Con entrambi l’Italia si è impegnata a eliminare gradualmente il carbone entro il 2025, in linea con gli intendimenti del programma europeo “Fit for 55”.

Dunque, per l’ex-Ilva si attinge a cospicui fondi nazionali per riattivare l’altoforno 2 – tristemente noto per aver provocato la morte di Alessandro Morricella – e per rifare l’altoforno 5 (non certo per spegnerlo nei termini previsti dai piani) e poi si chiedono ulteriori fondi all’Europa per aggiungere anche due forni elettrici, simulando un’intenzione ecologica assolutamente inesistente. Non solo: si prevede la realizzazione di due moduli per la fabbricazione di preridotto di ferro, di cui uno al servizio delle fabbriche del nord, con ulteriore aggravio di inquinamento sul territorio.

Si rafforza, in pratica, la parte più inquinante dello stabilimento siderurgico, anziché l’esatto contrario. Sempre, beninteso, prevedendo licenziamenti fra i lavoratori della fabbrica.

Il nostro territorio resta pertanto schiavo di una politica cieca e irresponsabile, che da una parte fa proclami altisonanti e dall’altra persegue unicamente produzione e profitto. Di tutto questo Timmermans e l’Europa sono a conoscenza?