Ambiente

Ex-Ilva: un nuovo altoforno e fumi di plastica nel cielo di Taranto

Le truppe cammellate del Governo proseguono la loro marcia irresponsabile sull’ex-Ilva di Taranto e, soprattutto, sulle nostre teste. Ieri ci sono state le audizioni della commissione Industria e agricoltura del Senato, nella quale il commissario straordinario di Acciaierie d’Italia, Quaranta, ha annunciato la proroga del contratto di locazione dei rami di azienda dell’ex-Ilva alla stessa Acciaierie d’Italia fino al 2030 (anno in cui cesseranno le agevolazioni sull’emissioni di CO2). La scadenza del termine previsto con la precedente gestione era il 31 maggio 2024. In questo modo la gestione degli attuali commissari potrà essere piena, fino al subentro dell’eventuale nuovo partner privato.

L’annuncio si accompagna a quello della rimessa in marcia di un secondo altoforno dopo l’estate (attualmente produce solo Afo4). Per tali lavori il Governo ha stanziato ulteriori 150 milioni di euro, che si sommano agli altri già messi in campo in favore della fabbrica, alcuni dei quali distratti inopinatamente dalle bonifiche del territorio.

Avviare un altro altoforno a carbone, dirottando i soldi delle bonifiche, si commenta da sé ed è alquanto emblematico della visione bieca di chi ci governa, che guarda a produzione e profitto senza preoccuparsi minimamente dei patimenti della nostra comunità. Per di più se si considerano le condizioni di lavoro all’interno dello stabilimento, che restano insicure e legate unicamente alla buona sorte.

Non migliore l’ulteriore notizia che riguarda la costruzione di un impianto per la produzione di polimeri (plastiche non recuperabili dalla raccolta differenziata) da bruciare negli altiforni dell’ex-Ilva e destinati anche ad altre acciaierie d’Italia. Lo sta realizzando l’azienda Unità di Misura di Milano negli ex stabilimenti di mattoni della Dioguardi, sulla S.S. 106 e sarà operativo a inizio 2025 con circa 70mila tonnellate di materiale.

Progetti devastanti per Taranto, che tuttavia restano improbabili per via delle strettoie date dalle condizioni fatiscenti degli impianti, per i quali servirebbero parecchi più fondi di quanti non stiano riuscendo a recuperarne. Anche l’ingresso di un nuovo socio potrà avvenire solo a patto che lo Stato si accolli l’enorme mole di debiti accumulata. Un salvataggio disperato che intendono operare coi soldi degli italiani e con la salute dei tarantini quando, con molti meno stanziamenti, si potrebbe investire sulla rinascita del territorio.