AmbienteGiustizia sociale

Afo1: a ottobre lo inaugurano, a maggio va a fuoco

Solo pochi mesi fa il ministro Urso e il presidente Bernabè tagliavano il nastro dell’Altoforno 1 con tanto di elmetti e sorrisi a favore di telecamere e giornalisti.
Noi lo dicemmo subito: era solo un’operazione di marketing, una sceneggiata per fingere una ripresa che non c’era.
E infatti, pochi mesi dopo, l’altoforno ha preso fuoco.
Un miracolo non ci siano stati dei morti tra i lavoratori!
Ma anche stavolta il governo non si assume alcuna responsabilità.
Dopo l’incendio del 6 maggio, il ministro Urso ha subito puntato il dito contro la magistratura: “Se il sequestro resterà, l’accordo con Baku steel salta”. Ma la verità, come sempre, è un’altra.
Gli azeri stanno lasciando la scena non solo per l’incidente, ma perché il rigassificatore previsto al largo di Taranto – vero fulcro del loro interesse – è politicamente e territorialmente osteggiato.
Jindal, nel frattempo, ha comprato un impianto in Slovacchia ed è sparito dai radar.
Ora il governo si aggrappa ai cinesi di Baosteel, pur di non ammettere il fallimento di un modello che andava chiuso almeno 13 anni fa.

Nel frattempo, AFO1 – pur sotto sequestro e senza facoltà d’uso – potrà essere messo in sicurezza: sarà posto in quiescenza di lungo periodo, con spegnimento controllato e isolamento termico.
Il Ministro Urso rincara: “Verosimilmente l’impianto è del tutto compromesso”, e accusa i tecnici per non aver agito entro 48 ore ma dimentica di dire che la manutenzione dell’altoforno era carente da anni.
È proprio per questo che la magistratura è dovuta intervenire: per mettere in sicurezza ciò che altri avrebbero dovuto attenzionare.
È il solito scaricabarile: il danno diventa colpa di chi interviene, non di chi lo ha causato.
Intanto, i soldi sequestrati ai Riva per le bonifiche vengono usati per la gestione ordinaria. Le perdite aumentano, la produzione si dimezza, e i lavoratori rischiano la cassa integrazione (nella migliore delle ipotesi). Tutto per difendere l’indifendibile.

Taranto non ha bisogno di nuovi acquirenti.
La nostra città ha bisogno di una scelta politica coraggiosa.
Serve un piano per uscire dalla fabbrica, non per tenere in piedi il disastro.
Il fuoco non ha fatto danni solo ad AFO1:
l’incendio ha bruciato anche la credibilità del governo.
Speriamo sia la volta buona per voltare pagina.
Ora o mai più. Taranto, da queste macerie, può solo rinascere!