La montagna ha partorito un topolino.
Nei giorni scorsi il sindaco Bitetti si è dimesso per “inagibilità politica”. Ieri è tornato in sella ed è uscita la controproposta che la maggioranza porrà al vaglio del Consiglio comunale prima di essere sottoposta al Ministro Urso. Dentro c’è la richiesta di chiusura degli altiforni in 5 anni, la costruzione di 3 forni elettrici e la previsione di un impianto per la produzione di DRI, anziché i quattro che il Governo voleva installare. Sono state negate la nave rigassificatrice e il dissalatore e prevista una valutazione dell’impatto sanitario che questi impianti avranno sulla nostra comunità e il ricorso al TAR, che è semplicemente coerente rispetto al l’opposizione all’AIA.
E’ una proposta migliorativa rispetto a quella di Urso? Sì. E’ sufficiente? No. La politica difensiva per la quale, all’interno di confini dati, si deve semplicemente provare a ottenere l’assetto migliore non fa comunque il bene di Taranto.
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il DRI è comunque impattante e non è la strada che Taranto merita.
Il cosiddetto “Piano C” resta parziale e ambiguo. L’obiettivo dichiarato del 2030 è troppo lontano. Sei anni in più di convivenza con un impianto inquinante significano altri anni di malattie, esposti giudiziari, danni ambientali irreversibili. Parlare di “dismissione graduale ma irreversibile” rischia di restare una formula retorica, se non accompagnata da prospettive concrete. I forni elettrici non sono una soluzione salvifica. Gli EAF pongono interrogativi seri sugli impatti ambientali e sulle fonti energetiche, ancora del tutto indefiniti. L’idrogeno verde è ad oggi una promessa, non una certezza su cui fondare scelte urgenti.
In sintesi: la proposta del Comune è un passo avanti, ambivalente nei contenuti, troppo vaga nei tempi, troppo prudente nelle garanzie. La verità, purtroppo, è che questa proposta non è – e non sarà – il perno delle decisioni reali, poiché il processo resta saldamente nelle mani del Governo, che continua a muoversi in autonomia, senza ascolto, senza confronto, senza trasparenza. Il Comune, però, può e deve avere un ruolo, ma oggi non tiene le redini. Il Comune dovrebbe avere lungimiranza e il coraggio di far saltare il banco, non puntare a un semplice miglioramento dell’accordo precedente, per quanto non scontato considerata la linea generale della maggioranza.
Noi riteniamo che non sia più il tempo delle mezze misure e degli “accordicchi”. Abbiamo bisogno di un futuro radicalmente diverso, mentre si continua a produrre acciaio, a puntare tutto sulla monocultura industriale e a legare il destino di Taranto a un impianto che ha già devastato salute, ambiente, occupazione ed economia locale.
Il nostro orizzonte resta il modello della Ruhr: la chiusura e la riconversione. La controproposta approvata oggi è lontana da quell’obiettivo quanto la distanza che separa Taranto dalla Germania.
Chi, tuttavia, pensa che con questa proposta la partita sia chiusa, sbaglia. Le ragioni della mobilitazione cittadina non si sono esaurite, anzi: si sono moltiplicate. Il Governo procede per strappi, con i propri piani, senza confronto, il Comune è troppo timido. Per questo serve una nuova energia collettiva. Taranto ha bisogno di uno slancio profondo, trasversale, generoso, per tornare a essere protagonista del proprio destino.
Serve continuare a lottare per un futuro diverso, in cui la salute venga prima del profitto, in cui le bonifiche siano reali e non promesse, in cui la città sia davvero parte delle decisioni che la riguardano.
Come associazione non ci fermeremo. Ricorreremo al TAR in modo svincolato dal Comune. Servono strumenti concreti, non illusioni, perché la partita non può chiudersi qui e le nostre ragioni dovranno prevalere. Sugli assetti attuali pende ancora la sentenza della Cedu e ciò che dirà il tribunale di Milano.
Su Taranto non deve essere permesso un solo picogrammo di inquinamento in più!
Ci vediamo mercoledì prossimo in piazzetta Gandhi, accanto alla Prefettura, alle ore 19.
Solo Taranto può salvare Taranto!
