Protesta degli operai, si chiede (erroneamente) di nazionalizzare la fabbrica
Monta la protesta degli operai a Taranto che oggi, sotto palazzo di città, hanno manifestato le loro legittime preoccupazioni dopo i tagli all’indotto operati da Acciaierie d’Italia allo scopo di chiamare, ancora una volta, il Governo ad elargire fondi pubblici. Si chiede di nazionalizzare la fabbrica alla ricerca di un salvagente che tenga a galla la fabbrica, ma occorre prendere atto del fallimento di tutti i tentativi fatti per tutelare la produzione e avere il coraggio di chiedere di più.
La nazionalizzazione non è la soluzione e sbaglia il sindaco ad andare in scia a una richiesta dettata dalla disperazione. Non è così che si tranquillizzano imprese e lavoratori, ma col coraggio di programmare la chiusura del siderurgico facendo fronte comune per pressare il Governo al fine di mettere mano ad una riconversione integrale del sito e del territorio alla stessa stregua di quanto fatto nel bacino della Ruhr, in Germania.
Mentre per l’ex-Ilva, infatti, sono già stati sperperati quindici miliardi di euro senza essere approdati a nulla e pensando di attingerne almeno altri cinque, lì con dieci miliardi in dieci anni si è dato vita ad una entusiasmante opera di rigenerazione che ha prodotto ancora più economia (sana) e occupazione. Per farlo, ora, ci sarebbe la grande opportunità dei fondi europei.
Quella fabbrica va chiusa per porre fine, con essa, a tutti i drammi che la nostra comunità paga a caro prezzo e da troppo tempo. Non crediamo nella sua compatibilità con la salute dei tarantini ed è di tutta evidenza che non produca più neppure economia e lavoro: le ditte dell’indotto avanzano crediti per cifre enormi e la maggior parte dei lavoratori sono in cassintegrazione a spese dello Stato ormai da anni. Non c’è più ragione di salvarla.
Vogliamo che si guardi al problema con lungimiranza, senza farsi condizionare dall’attuale emergenza. Se si avrà questa capacità saremo pronti a unirci per dar vita ad un fronte unico che pretenda di salvare Taranto, e non più la fabbrica.