Ambiente

No di Mittal all’aumento di capitale, lo Stato resta al palo

L’atteso incontro di ieri fra Governo e ArcelorMittal sull’ex Ilva, non è andato come strumentalmente annunciato nei giorni scorsi: #ArcelorMittal ha respinto la partecipazione all’aumento di capitale da 320 milioni di euro che avrebbe concorso a portare la quota del socio pubblico al 66%. Con essa ha rifiutato la richiesta del Governo di avere il controllo sulla società, anche perché per farlo occorrerebbe il 66,67% di quote possedute.

Su questo stallo incombe anche la scadenza del fitto dei rami d’azienda che avverrà il 31 maggio 2024 e che non è mai stato convertito in acquisto grazie al sequestro tuttora pendente sugli impianti dell’area a caldo. L’eventuale rinnovo del fitto sarebbe possibile solo con l’assenso di Mittal che, come diciamo da tempo, ha ormai perso interesse sulla fabbrica tarantina di cui ha acquisito pacchetto clienti e segreti industriali.

In questo scenario è possibile che il Governo proverà a riformulare una nuova proposta a Mittal e, se anche questa verrà respinta al mittente, potrebbero aprirsi le porte ad una nuova amministrazione straordinaria, accompagnata da importanti contenziosi in cui lo Stato italiano si troverebbe a dover versare centinaia di milioni per le sue inadempienze (da accordi avrebbe dovuto mettere 2 miliardi di euro a disposizione della partnership).

Un quadro che avevamo preventivato già anni fa osservando (e mettendo in guardia) sugli atteggiamenti adottati da Mittal ovunque produca nel mondo e denunciando i propositi irresponsabili di aumento della produzione formulati dal governo e neppure sostenuti dalla domanda di acciaio.

Una matassa intricata che dà evidenza, una volta di più, di come l’unica soluzione sia la riconversione del sito e dell’economia del territorio, salvaguardando i lavoratori. Se solo avessero prestato ascolto a queste idee in tempi passati potremmo trovarci oggi in una realtà significativamente diversa.