Pace unica via, sempre
Con la guerra non ci sono mai ragioni che tengano, il risultato ci mette sempre di fronte a morti e distruzione, dolori e sofferenze. La guerra è la sublimazione della violenza dell’uomo contro l’uomo e della contrazione delle sue libertà fondamentali.
Giustizia per Taranto è per la pace, la solidarietà, la cooperazione e il rispetto dei diritti umani in tutte le loro forme. Per i ponti e non per i muri.
C’è un legame indissolubile fra pace e diritti umani che la guerra rompe. La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 lo esprime chiaramente, nonostante quasi nessuno dei paesi che l’ha firmata l’abbia rispettata:
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
Il diritto alla giustizia sociale è un fondamento della nostra associazione in quanto non possono esserci libertà e dignità senza il diritto a una vita degna, alla salute, all’istruzione, alla sanità, alla casa, al lavoro, all’accessibilità e ad esprimere le proprie idee e il proprio orientamento sessuale. Il diritto a vivere in un ambiente salubre, principio quotidianamente calpestato nel nostro territorio e per il quale ci battiamo con particolare dedizione.
Non dobbiamo considerare la guerra così lontana da noi. Così come c’è una cultura della pace cui dobbiamo sempre ispirarci, così esiste una cultura della guerra che è sempre all’opera allo scopo di abituarci gradualmente ad accettare l’inaccettabile. A questa possiamo e dobbiamo opporci ogni giorno e in ogni campo. Possiamo iniziare a farlo nel nostro piccolo non consentendo alla violenza di insinuarsi nelle nostre esistenze con concetti di guerra che sono sempre più presenti nelle relazioni: il confronto fra tesi e idee è diventata ‘opposizione’; il concetto di ‘emergenza’ usato per alterare la percezione di problemi cui non si vuol trovare soluzione da anni; il migrante che fugge dalle guerre alimentate dalle esportazioni delle nostre stesse armi è diventato il ‘pericolo alle porte’; il nazionalismo che diventa orgoglio patrio per radicalizzare la chiusura verso il resto del mondo; lasciarsi convincere che i diritti siano in competizione e che, perciò, sia più giusto prendersela con deboli e ultimi, anziché con i più forti, ovvero coloro i quali quei diritti dovrebbe garantirli per tutte e tutti.
La retorica della guerra e la metafora bellica nel linguaggio quotidiano portano con sé tutto il loro carico simbolico ed emotivo che modifica il nostro modo di pensare.
Per questo è nostra responsabilità ridare il giusto peso politico alle parole, che non servono solo a descrivere il mondo, ma anche a crearlo: ogni competizione è diventata ‘una guerra’ con tanto di ‘eroi’, ‘martiri’, ‘fronti’ e ‘trincee’; ogni sfida, disagio o malattia ci trasforma in ‘guerrieri’; ogni interlocutore diventa un ‘avversario’, laddove non proprio un ‘nemico’; ogni problema va ‘annientato’.
La violenza si insinua in un gergo e in concetti che, per di più, sono intrisi di machismo e cultura patriarcale, che di per sé negano l’accesso universale ai diritti.
Occorre recuperare lo spazio per la complessità ed il ragionamento iniziando col rifuggire la polarizzazione dei confronti e la semplificazione delle questioni. Così come facciamo, nel nostro piccolo, nella nostra Associazione e come possiamo fare nelle nostre interazioni.
Come Associazione, riteniamo che la politica dovrebbe porre immediatamente fine ai conflitti, riportando le divergenze sul piano del dialogo e della diplomazia, uniche strade percorribili.
Il disarmo nucleare non è un capitolo chiuso, ma un processo che deve ancora esaurirsi. Nel mondo abbiamo circa 12.500 testate nucleari secondo il SIPRI (Istituto Nazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) che permettono a pochi Stati di fare la “voce grossa” soprattutto dove le situazioni politico-sociali sono instabili. Vale la pena riflettere sul fatto che basterebbero 50 testate nucleari per porre fine all’umanità.
Con le guerre perdono tutti, tranne i fabbricanti di armi.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale i conflitti più rilevanti sono stati 160, i morti oltre 25 milioni, la percentuale di vittime civili è del 90%. Ci sono centinaia di guerre nel mondo, non solo quelle più coperte dai media.
Solo nei primi tre mesi del 2024 le multinazionali della difesa hanno avuto un incremento di valore sulle proprie azioni del 22%, tre volte di più dell’indice azionario globale. Quelle europee sono arrivate quasi a raddoppiare i loro guadagni[1]. La NATO dal 2014 ha chiesto ai paesi membri di portare il budget per la difesa al 2% del Pil. Nel 2023 la spesa globale per la difesa ha raggiunto il record di 2.443 miliardi di dollari: ciò significa che se ne sono spesi in armi ed eserciti quasi 7 ogni giorno! E le cifre continuano ad essere in salita col nuovo anno.
Questi numeri impressionanti servono a rendere l’idea dell’aberrazione costituita dalla guerra e di quanto i governanti non siano all’altezza delle loro responsabilità e del loro potere.
Noi crediamo che l’enorme massa di fondi sperperati per produrre dolore e morte, debba essere investita, piuttosto, per la lotta al cambiamento climatico e per la giustizia sociale, che sono legate a stretto filo con l’effettivo rispetto dei diritti negati. Gino Strada diceva che “Non ci sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi!” e che “La violenza non cura, ma uccide”. Per questo ci invitava a considerare che “Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte”.
[1] Rapporto del centro studi di Mediobanca