Stoner: storia straordinaria di una vita ordinaria
Stoner, di John Williams, è un piccolo capolavoro. È un libro discreto, lentamente entra e s’insinua. È delicato, è semplice eppure ha una forza e dirompenza incredibili. Non narra nessuna vicenda speciale, ma solo la quotidianità e la vita di un uomo, Stoner, ma lo fa con uno stile che è impossibile sottovalutare.
William Stoner, nasce in una piccola fattoria al centro del Missouri, vicino a Booneville, un paesino a circa quaranta miglia da Columbia. Una famiglia povera e solitaria, tenuta insieme dalla necessità della fatica. I genitori desiderano per lui un avvenire diverso e s’impegnano affinché lui possa studiare all’Università. Gli prospettano il corso di Agraria, così che poi possa tornare a casa con delle conoscenze utili e un bagaglio di esperienze.
Stoner va a Columbia e si iscrive all’università, immatricolandosi presso la facoltà di Agraria. Per studiare e mantenersi lavorava sodo. In cambio di vitto e alloggio dà da bere e da mangiare agli animali, bada ai maiali, munge vacche e taglia legna. Ma di tutti i corsi che segue, quello che lo turba ed emoziona di più è quello in letteratura inglese.
«Il professore si chiamava Archer Sloane e svolgeva il suo incarico di insegnante con un’aria di apparente sdegno e disprezzo, come se avvertisse, tra il suo sapere e la possibilità di trasmetterlo, un abisso così profondo che era inutile tentare di colmarlo.»
È così stregato dai libri e dalla letteratura che lascia agraria e cambia percorso senza dire nulla ai genitori. Un passo delicatissimo che mi ha commossa è quando i genitori lo raggiungono per la laurea:
«Per partecipare alla cerimonia, i suoi genitori, su un carretto preso in prestito e trainato dalla giumenta grigia, si erano messi in viaggio il giorno prima, percorrendo di notte le quaranta miglia fino a Columbia. Arrivarono appena dopo l’alba, irrigiditi dal viaggio insonne. (…) Tuttavia si accorse di non avere nulla da dirgli. Comprese che stavano già diventando degli estranei; e quella perdita accrebbe l’amore che nutriva per loro.»
Stoner diventa un professore e sente con forza la responsabilità del suo ruolo.
«Aveva percepito l’abisso tra i sentimenti che lo studio suscitava in lui e la sua capacità di esprimerli in classe. Aveva sperato che il tempo e l’esperienza potessero colmare quell’abisso, ma non era stato così.
Più conosceva a fondo un argomento, più profondamente lo tradiva parlandone a scuola. Ciò che prima pulsava di vita avvizziva subito nelle parole e ciò che si muoveva in lui appena pronunciato diventava gelido. E la percezione della sua inadeguatezza lo angustiava a tal punto che quel sentimento si fece costante, diventando parte di lui come la curvatura delle spalle.»
S’innamora di una donna rigida, «il suo apprendistato morale, sia a scuola che a casa, era stato censorio nei modi e coercitivo negli intenti» e ha un matrimonio infelice.
«A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra.»
Sullo sfondo della vita di quest’uomo, distante, vi è la prima guerra mondiale.
Stoner mi è sembrato un personaggio remissivo su alcune vicende, cosa che in tanti personaggi di altri libri mi aveva infastidita richiamandomi a errori del passato, mentre qui ho trovato bellezza. Ho trovato una persona che riesce ad essere sé stessa: «una morbidezza lo accolse e un languore gli attraversò le membra. La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa e ne avvertì la potenza. Era sé stesso, e sapeva cosa era stato.»
Ve lo consiglio vivamente, è un viaggio davvero tenero ed emozionante.
Buona crisi
Alessandra Convertino