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L’ex-Ilva di nuovo in amministrazione straordinaria: cosa succederà adesso?

Per la seconda volta in meno di dieci anni il siderurgico di Taranto, oggi Acciaierie d’Italia, è finito in amministrazione straordinaria. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha ammesso all’istituto dell’Amministrazione Straordinaria Acciaierie d’Italia, accogliendo l’istanza presentata il 18 febbraio scorso dal socio di minoranza Invitalia. Nominato commissario straordinario l’ingegner Giancarlo Quaranta, da anni in Ilva con diversi incarichi, ultimo dei quali quello di direttore della Divisione tecnica e operativa. Persona con così tanta esperienza che fu anche condannato per concorso in omicidio colposo plurimo e violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per la morte di due giovani operai, travolti da una gru nel 2003.

L’amministrazione straordinaria è volta in primis a preservare il complesso aziendale e garantire la continuità produttiva. Il Commissario avrà ora il compito di prevedere un programma di ristrutturazione aziendale, mentre il Ministero indirà nel giro di pochi mesi (queste le intenzioni) una nuova gara per cercare un altro partner privato.

Ci sono, però, molte sfide per il Governo che rendono il salvataggio della fabbrica quanto mai complesso:

1. Per suscitare l’interesse di un nuovo socio, lo Stato si dovrà caricare gli enormi debiti accumulati dal siderurgico (si veda punto 5)

2. ⁠Ci sarà da affrontare una battaglia legale plurimilionaria con ArcelorMittal per un impegno di investimento di 2 miliardi di euro mai mantenuti dallo Stato

3. ⁠Non dimentichiamo che AdI è solo l’affittuaria degli impianti, non la proprietaria. La scadenza del termine per l’acquisto sarebbe stata a maggio prossimo, sebbene le condizioni di acquisto previste dalle clausole prevedessero il dissequestro, mai avvenuto, degli impianti. La magistratura lo ha negato l’ultima volta nel 2022 e le condizioni attuali sono le medesime. Va detto che tale clausola è stata sostanzialmente aggirata a luglio scorso con decreto ad hoc del Ministro Fitto (il quindicesimo salva-Ilva), il quale non solo assicura la continuità produttiva in ogni circostanza, ma consente la vendita di asset societari anche in caso di sequestro, grazie alla possibilità di restituire all’acquirente le somme versate in caso di problemi a produrre. Resta tuttavia un dato importante che gli impianti dell’area a caldo del siderurgico siano ancor’oggi sotto sequestro e peraltro gravati da confisca a seguito della sentenza del processo Ambiente Svenduto.

4. Per il cosiddetto Piano ambientale, resta sempre viva la strada dei fondi di sviluppo e coesione, di fatto avocati dal Governo in danno alle regioni del sud, per l’installazione di due forni ad arco elettrico in aggiunta agli altiforni (attenzione: non in loro sostituzione), con la contestuale realizzazione di due moduli per la produzione di preridotto: uno per fornire Taranto e uno per garantire le aziende siderurgiche del resto d’Italia. Ciò significa ancora maggior inquinamento e una spesa con fondi pubblici di più di 5,5 miliardi di euro.

5. Col sedicesimo decreto salva-Ilva dello scorso mese il Governo si era premurato di mettere in sicurezza i crediti delle ditte dell’indotto, con un duplice fine: scongiurare il fermo delle attività e accollarsi i debiti maturati con la gestione Invitalia/ArcelorMittal (circa 3,1 miliardi di euro). In pratica le ditte creditrici potranno accedere in modo agevolato al fondo di garanzia per le PMI (gratuitamente fino all’ottanta per cento), o cedere i loro crediti a banche convenzionate (Sace e Mediocredito) che potranno acquistarli con garanzia statale di restituzione (verranno considerati prededucibili, ossia prioritari). Di fatto lo Stato inizierà a breve a saldare i debiti maturati da AdI, scaricando sulle casse pubbliche la gestione di AdI che per il 62% era privata.

6. Infine resta un ultimo nodo: la valutazione che il Tribunale fallimentare di Milano dovrà fare riguardo al piano di riordino predisposto dalla gestione commissariale. Dovrà cioè decidere sullo stato di insolvenza di ADI e verificare se la riorganizzazione prevista consentirà all’azienda di saldare i propri debiti e salvarsi o, al contrario, dichiararla fallita.

E’ di tutta evidenza come tale piano di salvataggio, per quanto complicato, resti una totale follia: quasi 10 miliardi di euro di fondi pubblici che non serviranno a convertire neanche per metà il ciclo integrale, continuando a produrre enorme inquinamento. E che non servirà neppure a garantire i livelli occupazionali attuali e la profittabilità della fabbrica.

Tutto ciò mentre se ne potrebbero spendere la metà per riconvertire l’intero territorio in modo sostenibile e con grandi prospettive di rilancio economico, sociale e occupazionale.