Le assemblee pubbliche di quartiere ieri hanno fatto tappa ai Tamburi, simbolo dell’inquinamento tarantino. In piazza Gesù Divin Lavoratore si è parlato dell’importanza della manifestazione del 29 novembre L’ora di Taranto per dare voce al cambiamento dopo venti anni di fallimenti e sperpero di fondi pubblici per salvare il siderurgico.
Si è fatto il punto sulle ultime notizie riguardanti la fabbrica, dal definanziamento delle somme accantonate per il DRI, alla chiara volontà del Governo di procedere, inopinatamente, con l’attuale Autorizzazione Integrata Ambientale per tutti gli anni possibili, sperando nella dilazione delle normative europee sulle quote CO2 (ETS) e sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) che prevede di imporre un costo sulle merci di provenienza extra UE ad alta intensità di carbonio per equipararle a quelle prodotte in Europa.
Si è anche parlato della recente sentenza del Consiglio di Stato che ha autorizzato Acciaierie d’Italia a consumare gas, allungando i tempi per trovare un nuovo fornitore dopo le difficoltà di approvvigionamento dovute a diversi mancati pagamenti da parte dell’azienda.
Di attualità anche la revoca dei fondi (circa 800 mila euro) per la pulizia del quartiere tamburi dalle polveri industriali che è stata cassata nell’AIA appena concessa e la nuova proposta fatta da uno dei due fondi che concorrono per rilevare la fabbrica, che scarica sullo Stato i costi della farlocca “decarbonizzazione” e sul territorio gli esuberi previsti.
Tutti ulteriori motivi per continuare ad alimentare la pretesa di trovare soluzioni nuove a problemi vecchi che non hanno fatto altro che aggravarsi con la gestione statale. Per stimolare ad avere il coraggio per pretendere unitariamente di superare l’acciaio e investire su una riconversione profonda e partecipativa. Serve che Taranto lo gridi con forza, perché adesso è la sua ora!

