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“Correndo con le forbici in mano”, un’insolita storia vera

Correndo con le forbici in mano è la prova di come spesso i film non possono assolutamente competere (non per mancanza di bravura) con il libro.
Mi sono imbattuta in questa storia assurda molti anni fa in un periodo di pseudo insonnia. Su Rete 4, in seconda serata, trasmettevano la rassegna “I bellissimi”.
Questa pellicola mi catturò per il titolo ed anche per la follia e, in qualche modo, perfino pacchianeria che mi trasmetteva. Nonostante la storia mi inchiodasse allo schermo, per la portata dell’assurdità, non mi convinse e né arrivo mai a svelarmi il motivo di un titolo tanto originale.
Questa storia è vera ed è impensabile realizzarlo mentre le pagine scorrono. Augusten è un ragazzino che vive con un padre alcolizzato e freddo: “Era dotato di una natura amorevole, affettuosa ed espansiva quanto quella di un tronco fossile”, ed una madre che scrive poesie e vive nella speranza che i suoi versi vengano pubblicati. Augusten si veste elegante, cerca di non andare a scuola e sogna di fare il parrucchiere o il medico. Ama tutto ciò che luccica, così lucida tutte le monetine e non esce mai di casa con i capelli fuori posto.
Questo ragazzino, di fronte al divorzio dei genitori e al crollo emotivo della mamma, viene dato in affidamento al dottor Finche, lo psichiatra della mamma.
<<Mia madre si allungò e mi prese la mano. (…). Ebbi la sensazione di precipitare nel vuoto, anche se ero seduto. Alzai gli occhi verso l’orologio appeso al muro, ma era senza lancette.(…). Rimasi da solo in cucina, ad ascoltare il debole ronzio elettrico dell’orologio che teneva in segreto il conto dei secondi, dei minuti e delle ore.>>
La casa del dottor Finche è rosa, sporca e decadente ed è vissuta da personaggi strani ed esilaranti.
La moglie del dottor Finche, Agnes, sgranocchia croccantini per cani, <<mi ricordava una vecchia Cadillac svampita, già per metà inchiodata a terra, ma che in qualche modo continuava a fare girare il motore, senza dare troppo nell’occhio. Di norma, Agnes faceva parte della tappezzeria, acconsentiva senza fiatare, spazzava senza sosta, faceva in modo di essere invisibile e rimaneva in disparte.>>

I sette figli, alcuni adottati e altri biologici, sono accumunati dalla follia dei comportamenti. La casa si presenta con <<il divano capovolto in soggiorno, la merda di cane sotto il pianoforte a coda, la tribù di scarafaggi nomadi che ricopriva la pila di piatti, pentole e padelle ammucchiati nel lavello e sul tavolo. (…) In quella casa si trovavano forcelle di tacchino che risalivano a prima dell’amministrazione Nixon. E cosciotti che risveglierebbero l’interesse dei paleontologici.>>
Tante solitudini e fragilità, <<Bookman mi stringeva così forte che certe volte mi sembrava che potesse schiacciarmi gli organi interni o sbriciolarmi qualcosa. In realtà, più che tenermi stretto a sé, tentava di aggrapparsi a qualcosa.>>
Ognuno in quella strana casa è libero di fare ciò che vuole: <<Ciò che avevamo era la libertà. Nessuno ci diceva quando andare a letto. Nessuno ci diceva di fare i compiti. Nessuno ci diceva che non potevamo bere due confezioni da sei di Budweiser e poi vomitare dentro la lavatrice. Allora perché ci sentivamo così in trappola? Perché mi sentivo come se non avessi alternative nella vita, quando invece sembrava che le alternative fossero l’unica cosa che veramente avevamo?>>
Per gusto personale non so se consiglierei questo libro, ma di certo il fatto che sia una storia vera lo rende unico.

P.s Per sapere il motivo del titolo, leggete il libro.

di Alessandra Convertino