Ambiente

I nodi d’acciaio vengono al pettine

Acciaierie d’Italia starebbe per uscire dalla federazione di categoria delle imprese siderurgiche italiane. Si tratterebbe di un’ulteriore frattura fra l’azienda e il tessuto economico nazionale, dopo le note diatribe fra la componente privata (che detiene il 62% della società) e quella pubblica (38%).

Da più parti si paventa anche un possibile commissariamento di AdI da parte del Governo, con l’idea di coinvolgere un nuovo privato, ma questa ipotesi è frenata dal serio rischio che lo Stato si trovi a dover pagare ingentissime penali ad ArcelorMittal, così come previsto dal contratto del 2018. Altre fonti non confermate, sostengono finanche la presenza di un dossier che prevederebbe la messa in liquidazione dell’azienda.

A pendere sui manovratori c’è poi il sequestro dell’area a caldo ancora vigente, la cui revoca verrà presto richiesta, ma che non è affatto scontato verrà accolta, considerato che, come evidenziato dalla Corte d’Assise di Taranto a maggio del 2022, anche laddove il Piano verrà completato, non sussiste alcuna garanzia circa la sua “reale utilità” a renderlo non inquinante. Servirà – sostennero i giudici – una “valutazione in concreto” della cessazione di tali rischi.

Sebbene scaduto il termine per la realizzazione delle prescrizioni, AdI può produrre in regime di prorogatio fino al rilascio della nuova Autorizzazione Integrata Ambientale, su cui ora grava anche l’opposizione del Comune. Ma se il dissequestro non interverrà entro il termine del 31 maggio 2024, ArcelorMittal avrà facoltà di recedere dal contratto.

Senza considerare l’ordinanza sindacale sul benzene che verrà discussa dal T.A.R. di Lecce il 24 ottobre prossimo.

Uno scenario che, nel suo insieme, toglie ossigeno alla fabbrica, in continua perdita e senza possibilità di aumentare la produzione ai livelli che la porterebbero in attivo (che poi chi ha bisogno di tutto l’acciaio che si vorrebbe produrre, resta un mistero). Figuriamoci se si può mettere mano alla decarbonizzazione, che per come concepita, sarebbe comunque una presa in giro per la città.

Tutto questo sta accadendo a causa della cecità dei governi che, con la complicità dei sindacati confederali, hanno gestito la partita nell’unico interesse di salvare la fabbrica. Senza valutare l’insanabilità dello stabilimento tarantino, e senza pensare che avere un colosso come ArcelorMittal come socio e concorrente al tempo stesso, non avrebbe offerto alcuna chance di riuscita all’intera, irresponsabile, operazione.

Nel frattempo, infatti, la società franco-indiana ha separato i rami d’azienda italiani dalla holding e continuato a dirottare su quest’ultima clienti e affari. Dopo aver consegnato a Mittal parco clienti e segreti industriali, solo un idiota potrebbe ancora pensare ad un’ex-Ilva concorrenziale. 

Per tutto questo invochiamo, ancora una volta e con assoluta urgenza, una seria e partecipata programmazione della fuoriuscita di Taranto dall’acciaio con la salvaguardia dei lavoratori, sul modello della Ruhr. Di tempo se n’è perso fin troppo, occorre agire e credere, ora più che mai, che la battaglia contro il mostro possa essere vinta.

Per approfondire il tema indichiamo, a seguire, la clausola contrattuale secondo la quale il privato può recedere dal contratto

«Nel caso in cui – si legge nel documento – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto»