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Il Conte di Montecristo: è nato a Taranto il più grande romanzo dell’800

Preparare una recensione in questa giornata per me era fondamentale. Ho pensato a come ritagliare questo piacere, nel tran-tran quotidiano, ma ci tenevo che fosse pronta per questa Giornata Internazionale del Libro. Amo la lettura, sono la classica persona che se è seduta sul water e non ha un libro nel raggio di 10 cm, legge il retro degli shampoo e prodotti vari. Senza interesse alcuno, ma è la cosa che più mi riesce naturale fare. Una notte ho sognato di morire e la cosa che più mi destabilizzava era l’idea di non avere nulla da leggere nel “luogo” dove sarei andata, non la morte in sé. Scelgo i viaggi da fare (che farò) anche in base alle librerie o biblioteche presenti, o perché qualche scrittore mi ha fatta innamorare del luogo ancor prima di metterci piede. Questo preambolo, sia come elogio alla lettura e sia per avvalorare i pensieri che seguiranno.

Il libro che oggi popolerà il nostro spazio è Il Conte di Montecristo. Tutti conosciamo la trama, se non per il libro per le varie trasposizioni cinematografiche e per le serie che ha ispirato. Senza farci spaventare dalla mole, se si ha il coraggio di aprirlo, ben presto si resta intrappolati dentro questa storia. Dumas ci ha donato questo capolavoro nel 1844, ambientato nella Francia della Restaurazione e della monarchia di Luigi Filippo. È la storia di un’ingiustizia subita, ma soprattutto di una vendetta lenta e che si confronta con i limiti della natura umana. Edmund Dantès, finirà per cadere in una trappola, sarà accusato ingiustamente e sarà rinchiuso in prigione sull’isola di If. Nella prigionia conoscerà l’abate Farìa, un uomo colto che lo istruirà e aiuterà a elaborare il piano di fuga e vendetta.

Il mio intento però non è parlare del libro, bensì quello che questo libro rappresenta per la città di Taranto e potrebbe farlo in futuro. L’isola di If nel golfo di Marsiglia, la prigione terrificante di Dantès altro non è che il castello aragonese di Taranto. E  Dantès il prigioniero, era l’ammiraglio Dumas.  Il figlio scrittore, Alexandre Dumas, s’ispirò al papà per scrivere questo capolavoro. Non mi dilungherò in questo, perché molti, prima e meglio di me, hanno narrato la vicenda, se siete curiosi di capire anche della prigionia di questo uomo ci sono molti scritti. Quello di cui voglio parlare è il pensiero che mi ha scaturito questa scoperta. Possiamo dire che il più grande romanzo dell’Ottocento ha i natali presso questa meravigliosa città. Subito ho pensato “ma perché non istituire un festival della letteratura a Taranto?”

Una città che ha ispirato uno dei più grandi classici internazionali potrebbe accogliere un evento di una portata culturale incredibile. Solo il pensiero mi riempie di emozione. L’idea che noi del Sud, amanti della letteratura non dobbiamo essere costretti a macinare km per incontrare scrittori, partecipare ad incontri, seminari. Taranto ha un potenziale enorme, su molti fronti. Se si vuole scorgerne la bellezza, credo la si possa vedere in tutti gli ambiti.

Volli provarvi che in questo mondo non esiste nè felicità assoluta, nè assoluta infelicità; esiste solo il paragone tra una condizione e l’altra, ecco tutto. Soltanto colui che provò le più grandi sventure è atto a godere le più grandi felicità. Bisogna aver voluto morire per sapere quanto è bello vivere. Fino al giorno in cui Dio si degnerà di svelare all’uomo i segreti dell’avvenire, tutta la più alta sapienza di un uomo consiste in queste due parole “Attendere e Sperare “.

Io aggiungerei, attendiamo sperando di non attendere più!
Buona Crisi