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Ex-Ilva, il silenzio che uccide

Sulla questione relativa all’ex-Ilva tutto tace ancora da Roma, ma le prime mosse del nuovo Governo non lasciano ben sperare riguardo a soluzioni che possano risolvere i problemi dei tarantini, né dal punto di vista sanitario ed ambientale e né da quello economico e sociale. La fabbrica, infatti, continua ad inquinare, tenere ai margini i lavoratori e generare cospicue perdite a fronte delle quali risulta irresponsabile continuare ad investire ingentissime somme pubbliche incapaci di rendere il siderurgico compatibile col territorio. In ragione di ciò continuiamo a ritenere ingiustificabile sperperare fondi che non vadano verso la riconversione economica della città e la ricollocazione dei suoi lavoratori.

In questo quadro risulta insufficiente e autoassolutoria la politica attendista delle nostre amministrazioni locali che trovano, nell’operato dei vari governi, un alibi per la loro inazione, mentre la nostra comunità continua a pagare dazi inaccettabili.

Il Presidente della Regione Emiliano ed il sindaco di Taranto Melucci si sono chiaramente espressi per il salvataggio della fabbrica mediante politiche di decarbonizzazione attraverso l’utilizzo del preridotto e di forni elettrici che vedrebbero la luce in non meno di un decenni. Un tempo insostenibile per i tarantini, senza considerare i dubbi sui risultati di tale operazione, evidenziati anche dalle ultime sentenze della magistratura. Addirittura il presidente della Regione si espresse a favore della chiusura della fabbrica, qualora il governo avesse indicato i termini delle riconversione. Giocare a nascondino non serve, lo è piuttosto dare risposte ai mille interrogativi di questi propositi.

  • Come si può pensare, infatti, di generare ulteriori morti negli oltre dieci anni che occorrono per realizzare i nuovi impianti?
  • Si è considerato di preventivare le morti che Taranto piangerebbe anche a fronte di questi interventi?
  • e il taglio che di quasi tremila lavoratori che certamente comporteranno?
  • E ci si è posti il dubbio che l’utilizzo del gas non risolverà i problemi ambientali del territorio?
  • Ed il fatto che per procurarlo occorreranno ulteriori trivellazioni, anche nei nostri mari?
  • Si è consapevoli che anche il fantomatico passaggio all’idrogeno comporterebbe altri anni ancora di attesa
  • e i problemi legati all’approvvigionamento dell’acqua necessaria per l’elettrolisi utile per la sua produzione?

Taranto produce il 16% dell’acciaio nazionale, non si tratta poi di una quota che non possa essere ovviata. Andrebbe detto, piuttosto, che il ciclo integrale di Taranto mette al riparo dai problemi legati all’approvvigionamento del rottame di ferro necessario per le nuove tecnologie, ma può Taranto continuare ad essere il salvagente delle fabbriche del nord senza alcuna considerazione per i suoi abitanti?

A fronte di tutti questi interrogativi riteniamo doverosa l’apertura di una nuova stagione di mobilitazione che al momento appare anestetizzata dal silenzio del governo su una questione che resta aperta in tutta la sua drammaticità.

Lunedì, intanto, il Governo incontrerà i sindacati proprio in merito alla fabbrica tarantina ed è probabile che trapelerà qualcosa, sebbene non nutriamo alcuna speranza in merito.

Gli enti locali, se davvero hanno a cuore le sorti della nostra comunità, dovranno interrogarsi sui dubbi esposti e riconsiderare seriamente la chiusura della fabbrica mediante l’utilizzo delle somme previste per il suo salvataggio. Per salvare, stavolta, Taranto e i tarantini.