Autorizzato un nuovo impianto per il trattamento dei rifiuti sul Mar Piccolo
Ogni giorno un tarantino si sveglia e scopre che c’è un ennesimo problema ambientale da risolvere. E spesso lo scopre troppo tardi. È successo di nuovo. Un nuovo impianto per il trattamento di rifiuti inerti sorgerà tra il Mar Piccolo e il quartiere Paolo VI.
Un’area già tanto fragile e segnata dall’inquinamento si prepara ad accogliere un ulteriore carico ambientale. Parliamo di un impianto da 260mila tonnellate di rifiuti l’anno, che porterà un traffico di oltre 18.700 camion ogni anno. Il sito, di circa 40mila metri quadrati, sorgerà a 500 metri dal Mar Piccolo e a meno di un chilometro da Paolo VI, quartiere che già convive quotidianamente con gli effetti pesanti della presenza industriale. Tutto “perfettamente autorizzato” dalla Provincia, ci dicono. Tutto “nei limiti di legge”, come sempre. Ma nessuno ci aveva detto nulla.
Nessuno ha coinvolto la popolazione in questa decisione. Non è più tollerabile che progetti con impatti così rilevanti sul territorio vengano portati avanti nel silenzio, senza informare e ascoltare i cittadini.
La vera domanda non è più solo quella della legittimità formale. La vera domanda è: Taranto può ancora permettersi di ospitare nuovi impianti industriali in aree così compromesse dal punto di vista ambientale? È davvero questa la traiettoria che vogliamo continuare a seguire per la nostra città?
In tante altre realtà italiane, progetti simili hanno sollevato riflessioni pubbliche, proteste, richieste di approfondimenti e di trasparenza. A Taranto invece ci si accorge a cose fatte, quando ormai è troppo tardi per discuterne. Per questo oggi, come Giustizia per Taranto, vogliamo portare questo tema all’attenzione dei tarantini:
Perché non è normale continuare a riversare nuovi pesi su un territorio già devastato.
Perché non è accettabile che progetti così impattanti vengano decisi senza alcun coinvolgimento della popolazione.
Perché la fragilità ambientale del Mar Piccolo e la già durissima condizione dei quartieri come Paolo VI meriterebbero non nuove servitù industriali, ma percorsi di tutela e di rigenerazione.
Taranto ha già dato.