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“Il sentiero dei nidi di ragno”: lo sguardo originale di Calvino sulla Resistenza

“Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi.”

Lo ammetto: Italo Calvino è uno dei miei scrittori preferiti, anzi è il mio scrittore preferito. Con questo libro, siamo in Liguria nella Seconda guerra mondiale.

Il protagonista di questo libro è Pin, un bambino orfano di dieci anni. Un bambino completamente abbandonato a se stesso, in cerca di amore e che, pur di riceverlo ed attirare l’attenzione, pur di esistere agli occhi disattenti degli adulti, ruba una pistola ad un tedesco. Dovendola nascondere, trova un posto segreto, solo suo, un sentiero dove i ragni fanno il nido. Lo rivelerà un giorno, quando troverà un vero amico.

Costretto a vagabondare, Pin inciampa in una storia, nella Storia più grande di lui. Incontra un gruppo di partigiani, e pur senza capirne le motivazioni, ne entra a far parte.

La narrazione è vista con gli occhi di un bambino, questo permette di avere un racconto originale della Resistenza. Si respira l’ingenuità dei pensieri, ma parlando di cose importanti non risulta retorico. È delicato, sensibile e per questo ancora più duro e crudele di quanto possa essere qualsiasi descrizione. Calvino ha voluto concentrarsi ed esprimere l’esperienza: “L’esperienza è la memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso (…) tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo”.

Penso che per avvicinare i ragazzi al tema storico e alla lettura, si possa fare affidamento a queste pagine che ti restano addosso, senza pesantezza, ma quasi con un’atmosfera fiabesca, basti pensare che i fascisti li figura come “neri, ossuti, con le facce bluastre e i baffi da topo”.

Vorrei donarvi un estratto:

“Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto.
Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? Tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi.
L’altra è la parte dei gesti perduti; degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi.

Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il parìa dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro sé stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.”

Buona Crisi!